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Turchia, Cina e questione uigura

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Un paio di settimane sono trascorse dalle dure espressioni rilasciate dal capo del governo turco Erdoğan a proposito della crisi dello Xinjiang,  ed è ora il caso di riconsiderarle a mente fredda, alla luce delle complessive relazioni cino-turche.

Come è noto, Erdoğan ha addirittura evocato lo spettro del “genocidio”, accusando la Cina di “atrocità” contro gli uiguri – popolazione turcofona presente anche nel territorio nazionale turco con una robusta minoranza – mentre il ministro del commercio e dell’industria, Nilhat Ergün, ha proposto il boicottaggio dei prodotti cinesi. Un’improvvisa e francamente incomprensibile ventata di panturchismo/nazionalismo che ha ricordato le uscite di Süleyman Demirel all’inizio degli anni Novanta, quando l’allora primo ministro promuoveva – però da un punto di vista più che altro culturale –  l’unità del mondo turco “dall’Adriatico alla muraglia cinese”.

Le relazioni tra Turchia e Cina sembrano fortunatamente destinate a crescere anziché arrestarsi, in primo luogo alla luce della storica visita del Presidente turco Gül al suo omologo cinese Hu Jintao, avvenuta dal 24 al 29 giugno. In quell’occasione i due Paesi convenivano, oltre che a cooperare “per l’armonia mondiale”, a lottare contro “i crimini transfrontalieri (leggi : il commercio della droga, in particolare dell’eroina), il terrorismo, il separatismo e l’estremismo” : la posizione ufficiale di Ankara, infatti, è quella del riconoscimento dell’integrità della Repubblica Popolare, anche per quanto concerne lo Xinjiang.

Nel corso del suo viaggio  Gül, accompagnato da qualcosa come 120 uomini d’affari turchi,  ha visitato anche Urumqi, dove non ha mancato di vestire il qlapan, l’abito tradizionale uiguro, e tutto ciò non ha minimamente compromesso il clima disteso e costruttivo instauratosi fra i due leader.

Sono stati predisposti e approfonditi progetti bilaterali nel campo delle telecomunicazioni, dell’elettronica, dell’industria automobilistica e del turismo, allo scopo di sviluppare scambi commerciali che dal fatidico anno 2001 al 2008 sono aumentati di oltre il 1.200 %, secondo le statistiche ufficiali.

Vasto eco in Turchia ha registrato, ad esempio, il contratto di oltre 1.250 miliardi di dollari stipulato nel 2005 con due grandi imprese cinesi per la realizzazione dell’alta velocità ferroviaria tra Istanbul e Ankara, mentre a febbraio di quest’anno il dipartimento turco per il commercio estero ha formulato un’importante proposta : regolare gli scambi commerciali fra Turchia e Cina utilizzando le rispettiva divise nazionali, anziché monete terze come il dollaro.

Un’ora dopo aver proclamato la sua richiesta di boicottaggio, il ministro Ergün ha ritrattato la dichiarazione; e pochi giorni dopo le esternazioni di Erdoğan, l’ambasciatore turco a Pechino, Murat Salim Esenli, ha sottolineato che “le relazioni turco-cinesi non pongono alcun problema : la Turchia attribuisce una grande importanza a tali relazioni nel campo commerciale, in quello culturale e in quello della sicurezza” : l’ambasciatore ha voluto poi ribadire il grande successo della visita del Presidente Gül a Pechino e l’importante potenziale di cooperazione fra le due nazioni. Nel corso della sua visita, fra l’altro, proprio Gül aveva esplicitamente individuato nel popolo uiguro “un legame di amicizia fra la Turchia e la Cina”.

Naturalmente, c’è chi soffia sul fuoco e abilmente sfrutta un episodio di confronto/scontro etnico per sabotare tale amicizia : non soltanto Rabiya Kadir, capo del “Congresso mondiale uiguro in esilio” con sede negli Stati Uniti, ma tutti quanti non si sono lasciati sfuggire l’occasione per rilanciare  la strategia geopolitica americana e la sua ambigua campagna dei “diritti civili”.

*redattore di Eurasia. Rivista di studi geopolitici ed esperto di Turchia


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